Salvatore Sicilia

Nato a Castelbuono (Palermo) il 16 giugno 1948
Diplomato all'Istituto d'arte di Cefalù nel 1968, si trasferisce a Milano nel 1970.
Nel 1976 si diploma all'Accademia di Belle Arti di Brera di Milano
Dal 1974 come illustratore collabora con alcune testate: Corriere dei Piccoli, Topolino, Astra, Il racconto e Agenzie di Pubblicità.
Ha insegnato a Milano.
Attualmente dipinde nei colli Piacentini.

I/MAGO: Magia dell'immagine di Roberto carusi

- Il colore come espressione di sè
  per accostamenti e per contrasti
- Il colore come materia
- Il colore da cui nasce la forma
- il colore dalle mille sfumature
  di una tonalità dominante
- Il groviglio/intreccio
  di raffinati manierirmi e "non-finti" naïf

- Un percorso onirico e fantastico
  nel quale s'intravedono figure ed espressioni
- Quasi un puzzle impazzito nella riaggregazione
  cromatica di una disgregata umanità
- La dolcezza di un paesaggio,
  il tormento d'un ritratto
  in dipinti (che ritratti e paesaggi non sono)
  nei quali dolce e tormentato è il colore'
- "Citazioni": del dinamismo futurista, da un lato;
  dall'altro, di unaarcimbolesca classicità

Salvatore Sicilia si è riaccostato alla pittura dopo una intensa attività come illustratore (per ragazzi specialmente).
E non a caso.

Nelle sue compostissime scomposizioni di precisa coerenza stlistica - pur nella varietà dei soggetti, delle tecniche e dei formati - c'è la tendenza, e il raccapriccio insieme, di certe fiabe.

L'anatomia, gli aspetti della natura, ogni elemento figurativo magicamente (eppure consapevolmente) rielaborato, non attraverso astratte geometrizzazioni ma piuttosto mediante un uso del colore teso ad offrire sensazioni ed atmosfere ancor prima che definitorie identficazioni

L'altezza del gioco di Giulio Stocchi

Qaundo il mio amico Salvatore ha avuto la cortesia di chiedermi queste brevi note sui suoi quadri, stavo rileggendo Orazio, cercando forse nei versi de poeta un balsamo ai tempi bui che stiamo vivendo, un antidoto contro le minacce di guerra che ci sovrastano.
E la pace della vita campestre rievocata nei suoi Epodi - "È bello sotto vecchia quercia giacente, o erba folta; intanto l'acqua scorre tra le ripe alte, piangono uccelli ai boschi e i fonti gorgogliano invitando al sonno" - se da un lato mi allontanava dall'orrore che incombe, mi diceva anche quanto insensata sia la vita che conduciamo nel clamore dissonante delle nostre città.
E, come sempre, di Orazio mi colpivano la lucida consapevolezza - "Siamo sacri alla morte, noi e le cose nostre" - ma anche lo scatto d'orgoglio dell'artigiano che a sera contempla l'opera bella che la fatica del giorno gli ha guadagnato - "Ho eretto un monumento più del bronzo durevole"-.
E guardando i quadri di Salvatore quei versi mi tornavano insistenti. Già, pensavo, perdendomi nelle fantastiche policromie del mio amico, per i pittori e i poeti, come per tutti gli artisti, la scommessa è sempre quella: lasciare una traccia che si sottragga alla corrente che tutto dissolve e tenere lo sguardo fisso a quell'orizzonte di armonia che le antiche parole sulla campagna adombrano.
E osservare i paesaggi, spesso campestri, che Salvatore Sicilia ha raccolto in questa mostra, la luce in cui sono immersi, la quieta geometria delle loro forme, il rosso improvviso di quell'albero che svetta verso il cielo - "l'albero della vita", come mi ha confidato il pittore-, e le stagioni che quasi insensibilmente trascorrono una nell'altra, dal giallo vivo dell'estate all'ocra dell'autunno, dal tenero smeraldo della primavera a quel "dolce colore d'oriental zaffiro" che sconfigge sotto altri cieli il nostro inverno, vedrete tradotti in forma e materia, con l'eleganza ingenua di certi scudi araldici, il sorriso sereno e disincantato che aleggia nei versi del poeta latino.
Eleganza ingenua, dicevo, che forse ricorda anche i carretti variopinti della terra di questo pittore, che se la porta cucita addosso -sunt nomina omina- nel suo stesso nome, quasi che il destino l'avesse segnato sulla fronte come i salvi dell'Apocalisse. Ma di un'ingenuità, attenzione, ben lontana dalle confessioni informi di certi pittori della domenica sfogano sulle loro tele, ma che invece il risultato calcolatissimo di molto lavoro e di profonda cultura. Basta osservare nei volti e nei ritratti che fanno da pendant ai paesaggi della mostra le dottissime, e ironiche, citazioni di Piero della Francesca in quei nasi da condottiero urbinate, o la rivisitazione di Arcimboldo in certi copricapi, o le allusioni picassiane nella moltiplicazione dei seni di alcune sue figure femminili che si riallacciano così alle dee della fecondità, come le matres matutae della prima romanità o le divinità ctonie dei nostri più remoti albori.
Quasi che la celebre contrapposizione fra poesia ingenua e poesia sentimentale si cui parla Schlegel - cioè fra istinto e ragione o , in termini più moderni, fra natura e cultura - trovasse in Salvatore Sicilia una sua risoluzione o, quanto meno, un punto di Equilibrio.
E quest'equilibrio mi piace pensare derivi dalle radici profondamente terrestri di quest'uomo solare, che ama il buon vino, le risate, le donne e che vuole che l'allegria, e la giustizia e la libertà, riscaldino ognuno e tutti su questa terra. E che è un gran cuoco.
Bisogna avere avuto la fortuna di essere stati invitati a casa sua per una di quelle cene in cui la fragranza degli aromi di salse e condimenti si sposa al tintinnio delle stoviglie e al lampo breve del vino nei bicchieri, per ammirare la sapienza con cui le sue leccornie si presentano agli occhi prima che al palato: il sole di pomodori che tramonta sul mare d'argento delle alici e delle sarde, i petali delle melanzane disposte a fiore e l'ape minuscola nell'olio che l'insidia, peperoni gialli, picchiettati dei capperi bruni delle sue terre riarse, che distendono sul piatto il manto della pantera profumata di cui Dante andava a caccia... e l'occhio nero delle olive fra due ciglia d'insalata, le perle ripetute delle cipolle su un tappeto di smeraldo... e ancora, arabeschi calamari, geroglifici di zucchine, trompe-l'oeil di patate... Cibi semplici, che denotano uno stile di precisione e sobrietà - e non diceva forse Orazio: "Io mi nutro di olive, di cicoria, di malva, cibi lievi"?- ma esaltati e, vorrei dire, trasfigurati da quella maestria di accostamenti di colore che troviamo nei suoi quadri.
(...)